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facile e più comune l inciampo; né tanto egli ha cura
d emendare gli altrui vizi, quanto di scoprirli ed appaga-
re l odio concepito contro le persone che avevano in
mano l imperio, né si cura di sostenere la gravità ed il
credito di censore perché, mentre sferza gli altrui costu-
mi, si mostra, coll oscenità del suo dire, poco più degli
altri costumato, quasiché non sia così mosso dall orrore
dei vizi, come dall invidia di chi ne traeva il diletto: con-
ciosiaché chi riprende con furore e con rabbia, odia più
le persone che l errore. Onde tra Orazio e Giovenale è
appunto quel paragone che tra un grave filosofo ed un
acerbo accusatore. Sprezzano molti le Satire d Orazio
per quello appunto onde dovrebbero maggiormente ap-
prezzarle, cioè per lo numero, a parer loro, vile, plebeo e
senz arte, quando in esso è l arte, la difficoltà e il giudi-
cio maggiore; come pruova chi tenta d accomodar così
bene l esametro alla maniera comica ed acconcia a quel-
le materie, come saggiamente avverte Lancellotto nel
Novello metodo della lingua latina.
XXX.
Di Tibullo, Properzio e Ovidio
Rimane ch io parli dei poeti elegiaci: tra i quali Tibul-
lo è pieno di soavità, di grazia, di tenerezza, di passione,
di purità e d eleganza, tanto nel numero quanto nelle
parole, maravigliosa e perfetta. Properzio ha novità
d espressione, fantasia veramente lirica, ed è atto non
meno alle cose grandi che agli amori: ma in Tibullo, per
avventura è naturalezza maggiore. Ovidio, se non si fos-
se lasciato portare dalla pienezza della sua vena, sfuggito
avrebbe ogni emenda, siccome la sfugge nei Fasti, ove
non manca nulla di purità e di esattezza; pur nelle
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altr opere ha tal felicità d inventare e facilità d esprimere
ogni umano affetto, secondo i moti più interni della na-
tura, che quantunque alle volte fluat lutulentus, sempre
però di quel medesimo est aliquid quod tollere velles. In
questi autori è altamente collocata la gloria della poesia
latina, contro la quale maligno e perverso fu il giudizio
di Marullo, che con quegli odiosi suoi versi restrinse in
troppo angusto giro i di lei pregi. I versi sono i seguenti:
Amor Tibullo, Mars tibi, Maro, debet,
Terentio soccus levis.
Cothurnus olim nemini satis multum,
Horatio satyra et chelys.
Natura magni versibus Lucreti,
lepore Musaeo illitis.
Epigramma cultum, teste Rhallo, adhuc nulli
docto Catullo syllabae.
Hos siquis inter caeteros locat vates,
onerat, quam honorat, verius.
Ecco con quanta ingiustizia, lascia fuori del numero
Plauto, Properzio, Ovidio, senza fare alcun conto d En-
nio e di Lucilio, e d altri dei quali doveva almeno dai
framenti e dalle relazioni di gravissimi autori venerar la
memoria.
XXXI.
Di Manilio
Né sono da escludere tutti i poeti dei seguenti secoli
della latinità, e men degli altri Manilio che dié fuori il
suo poema d Astronomia nei tempi d Augusto, benché
abbia qualche aria dell età di Nerone, nella quale non
solo dal verso, ma dalla prosa ancora cominciarono a
bandirsi l agevolezza e la semplicità, senza la quale non
si può interamente conservare la naturalezza, che rima-
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ne oscurata e soffogata dalla frequenza delle figure e dei
tropi e dei numeri troppo intensi e contorti; dai quali
tutti nasce in sul principio una fallace maraviglia, che in
brieve progresso di lettura si cangia in tedio, come il ci-
bo e la vita troppo fastosa e delicata. Ma perché all alte-
rato stile dei seguenti autori è avvolta gran singolarità
d ingegno e profondità di dottrina, portata da un estro
al quale non manca senonché la moderazione, perciò
non ci dee l odio delle virtù false distrarre dalle vere,
delle quali non solo abbonda Manilio, che non si spogliò
la grazia del suo secolo, ma coloro altresì che col secolo
anco lo stile cangiarono. Dei quali se distintamente non
ragioniamo, perché non adempiono l idea comune a so-
pra mentovati autori, pure agli studiosi raccommandar
dobbiamo la lettura, non per proporli all imitazione, ma
per accrescer collo studio loro l erudizione, ed eccitar
maggiormente l estro, che poi temperato dalla purità e
semplicità dell aureo secolo al giusto segno di vivacità e
colore si riduca.
XXXII.
Dei novelli poeti latini e lor dottrina
Or entrar ci conviene in un altro teatro di latina poe-
sia, nel quale vedremo sull opere del Pontano, del San-
nazaro, del Vida, del Fracastoro, del Poliziano, ed altri
di questa felice schiera, quasi vive risorgere l immagini
dei Catulli, Tibulli, Properzi, e direi anche degli Ovidi,
Lucrezi, co quali nella poetica frase ed artifizio confina-
no, se Ovidio, con la felice varietà e copia de suoi spa-
ziosi favoleggiamenti, e Virgilio e Lucrezio, con le singo-
larità dei poemi loro, non tenesser da sé lontana ogni
comparazione; conciosiaché niun dei maggiori tra i no-
velli latini ad uno intero poema eroico ed a tutto un filo-
sofico sistema lo stile abbia volto. Prima però di venire a
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ciascheduno in particolare, conviene, secondo il nostro
istituto, di tutta questa scuola e della sua dottrina ed ar-
te dare una generale idea, dalla qual si possa, poi al sin-
golar giudizio più ragionevolmente passare.
Le lingue più colte e più autorevoli hanno una effica-
cia naturale di trasfondere nell animo non solo i concet-
ti, ma con la viva espression dei concetti anche le opi-
nioni e i costumi. Onde con segreto incantesimo,
quantunque nati nei tempi presenti, pur l uso dei greci e
latini vocaboli e l commercio di quei grandi autori ci ri-
voca all età loro, nella quale mutiamo natura e, lascian-
do per così dire l animo proprio, pigliamo insensibil-
mente l animo che nei loro libri han deposto i nostri
precettori. Quindi dopo avere per lungo studio peregri-
nato nei più rimoti secoli, ritorniamo tra i dotti dell età
nostra, chi nella sembianza di Platone, chi di Senofonte,
chi di Cicerone, chi di Virgilio, quantunque agl indotti e
ciechi, non solo per loro stultizia ma per timor nostro
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